Cosa può fare il farmacista per il dolore?


22 Febbraio 2022

Questa è una delle domande che viene rivolte più di frequente al farmacista ed è un campo dove il suo consiglio professionale può fare la differenza per la qualità della vita del paziente e, anche, per la sua soddisfazione e fidelizzazione.

Ma occorre ricordare i limiti della professione e allora diventa fondamentale scegliere il farmaco migliore per il paziente, consigliarlo al meglio e sapere quando richiedere l’intervento del medico.

Fondamentale è ricordare che, se il dolore è un’esperienza sgradevole, esso può segnalare la presenza di un danno effettivo o incombente ai tessuti.

Il dolore non è sempre uguale

Esistono diversi modi per classificare il dolore.
Se lo classifichiamo in base alla durata, possiamo parlare di dolore acuto, persistente e cronico.

Il dolore acuto è una risposta a breve termine a un problema temporaneo, che segnala al paziente la possibile presenza di una patologia sottostante, per la quale potrebbe essere necessario rivolgersi al medico. Raramente esso dura più di alcuni giorni o alcune settimane.

Il dolore persistente è normalmente definito come un dolore che dura più di tre o sei mesi, ricorrente o continuo ed è solitamente il risultato di una malattia cronica. Molto spesso si tratta di un dolore remoto, con sintomi iniziali graduali.

Il dolore cronico può avere una fisiopatologia mista o indeterminata. Se non è identificabile alcuna patologia sottostante, esso è noto come dolore idiopatico.

Possiamo classificare il dolore anche in base ai meccanismi patogenetici; abbiamo allora:

  • il dolore nocicettivo, che include il dolore “fisiologico”, dovuto a lesioni organiche e che nel suo decorso percorre la via nocicettiva;
  • il dolore da infiammazione, che ha un ruolo protettivo quando siamo di fronte a una forma acuta, ma diventa patologico nel caso di una malattia cronica;
  • il dolore neuropatico, dove il dolore si presenta per un difetto della trasmissione nella via nocicettiva, come avviene per cause metaboliche come il diabete, meccaniche per la compressione di una radice, infettive, come nel caso di una neuralgia post-erpetica o la neuropatia da HIV, iatrogene, spesso connesse all’uso di chemioterapici;
  • le forme miste, dove il dolore neuropatico è associato a un dolore nocicettivo o infiammatorio;
  • il dolore cronico primario, convenzionalmente chiamato dolore nociplastico, dove la sua insorgenza non è secondaria e, per motivi non ancora chiari, si assiste a una progressiva sensibilizzazione centrale con presenza di dolore cronico. Tra queste forme riconosciamo la fibromialgia, le sindromi temporo-mandibolari, le algodistrofie.

È facile immaginare che le diverse tipologie di dolore possano essere trattate con efficacia solo con farmaci diversi. Un antinfiammatorio, utilissimo nel dolore da infiammazione, risulta praticamente inefficace nel dolore neuropatico, dove invece risultano particolarmente utili altri prodotti, come il gabapentin.

Identificare l’origine del dolore è quindi fondamentale per poter utilizzare al meglio l’armamentario terapeutico a nostra disposizione e garantire al contempo il doveroso sollievo.

La classificazione del dolore

È utile sapere che, anche se non ne è richiesta un’applicazione da parte del farmacista, esistono diversi strumenti in grado di “valutare” l’esperienza dolore; possono essere scale unidimensionali (che valutano una sola dimensione del dolore, ovvero la sua intensità, misurata e riferita dal paziente), come la scala numerica, NRS (numerical rating scale, dove in paziente deve definire il suo dolore su una scala da 1 a 10), la scala analogica visiva, VAS (visual analogic scale, dove deve posizionare il dolore su una linea lunga 10 cm) o la quantitativa verbale, VRS (verbal rating scale, dove il dolore viene descritto a parole) oppure scale multidimensionali, che valutano il dolore come esperienza sensoriale complessa e quindi prendono in considerazione anche gli aspetti relazionali e della vita dei pazienti. Danno un quadro più preciso del problema presente ma richiedono un tempo di esame più lungo. Secondo la scala dell’OMS, un dolore classificato fino a 4, in una scala fino a 10, rende necessario un trattamento con antinfiammatori/analgesici come FANS e paracetamolo, mentre se supera questa soglia è necessario passare al tramadolo o agli analgesici oppioidi.

Esistono anche scale espressamente dedicate all’età pediatrica; solo nel caso dei bambini molto piccoli, inferiori ai sei mesi, la valutazione del dolore viene effettuata tramite su alterazioni dello stato fisico del bambino, come la presenza di apnee o desaturazioni, l’aumento della sudorazione palmare e le modificazioni del sistema nervoso autonomo, o su variazioni comportamentali, come il pianto, la mimica facciale, i movimenti del corpo. È fondamentale infatti ricordarsi che, a differenza di quanto sostenuto fino a non troppi anni fa, anche il bambino prova dolore, anche se l’immaturità del sistema nervoso e la difficoltà di comunicazione rendono più difficile la localizzazione. La difficoltà di localizzare e descrivere il dolore non deve però valere come scusa per un suo non trattamento.

La terapia del dolore: cosa può fare il farmacista?

Nella terapia del dolore si possono prevedere e non si devono dimenticare numerosi trattamenti non farmacologici, come l’applicazione di ghiaccio, l’agopuntura o la distrazione, molto praticata nei bambini.

A livello farmacologico, si utilizzano invece analgesici, adiuvanti, la tossina botulinica, off label nelle cefalee croniche molto severe, l’analgesia loco-regionale, da usare con proprietà rispettando i tempi necessari per instaurare l’analgesia, fino ad arrivare all’anestesia generale. Il farmacista deve sapere che esistono diverse opzioni a disposizione dello specialista per consentire al paziente il sollievo, qualora si tratti di un dolore non curabile con gli strumenti a disposizione del farmacista.

Oltre agli antinfiammatori e al paracetamolo per uso sistemico, sono utili anche i preparati topici nel caso di dolore localizzato, siano essi in schiuma, gel o cerotti. Gli analgesici per uso topico usati per le lesioni dei tessuti molli di minore entità, l’artrosi e il mal di schiena si distinguono in due gruppi: quello dei FANS veri e propri e il gruppo dei farmaci noti come revulsivi.

I prodotti topici presentano alcuni vantaggi rispetto ai corrispondenti prodotti per uso orale, che meritano considerazione. In particolare, rendono l’applicazione semplice e controllabile, alleviano più rapidamente il sintomo e il sollievo può durare più a lungo, consentono di usare una quantità minore di principio attivo e non causano disturbi gastrointestinali e altri effetti indesiderati comunemente associati agli analgesici per uso orale. Possono presentare reazioni cutanee e alcuni tipi di dolore alla schiena o al collo possono non rispondere al trattamento topico.

Le sostanze revulsive producono un’irritazione reversibile e transitoria o una blanda infiammazione dei tessuti superficiali ai quali vengono applicati. Questa blanda irritazione del tessuto superficiale stimola i recettori sensoriali cutanei. Gli esperti ritengono che la sensazione prodotta a livello di superficie cutanea (per esempio, prurito, bruciore, calore o freddo) mascheri il dolore presente a maggiore profondità nel corpo. Pertanto, l’applicazione dei revulsivi attenua il dolore in muscoli, articolazioni o visceri al di sotto del sito di applicazione.

Bibliografia

WHO guidelines for the pharmacological and radiotherapeutic management of cancer pain in adults and adolescents. © World Health Organization 2018. https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/279700/9789241550390-eng.pdf?sequence=1&isAllowed=y

Associazione internazionale per lo studio del dolore https://www.iasp-pain.org/

Pray WS. Nonprescription Product Therapeutics, 2nd ed. Baltimore, MD: Lippincott Williams & Wilkins; 2006:295-349.

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